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Prove di… convergenze parallele

11 feb 2013
Disboscata la giungla dei prezzi che aveva causato situazioni paradossali fra Corriere Adriatico e Messaggero. Lanciato il “panino”: il Sigim chiede un incontro chiarificatore.

Servizio
di Giovanni Ruggiero *

Da una settimana chi va in edicola per comprare il Corriere Adriatico, lo storico quotidiano di marchigiano, riceve anche il dorso nazionale del Messaggero. Dal giornalaio come al supermercato: prendi due paghi uno. Per la verità una minima differenza c’è. Il giornale che gli anconetani chiamano affettuosamente “il bugiardò” dal 1 febbraio non costa più cifra tonda (1 euro), ma un euro e 20 centesimi. Per certi aspetti, per chi mastica un po’ le vicende editoriali della nostra regione, la cosa era prevista e prevedibile. Il Messaggero (quotidiano romano) e il Corriere Adriatico dal 2004 sono di proprietà dello stesso editore, il Gruppo Caltagirone. Semmai c’era da stupirsi per quanto avveniva in precedenza e cioè che le due testate operassero nello stesso territorio facendosi aperta concorrenza. Non solo, ma fino a ieri l’editore applicava una babele di prezzi legata a scelte commerciali che tentavano di far convivere nella stessa casa due fratelli che per carattere, età, modo di pensare e di ragionare andavano d’accordo solo per far piacere al papà.

Facciamo un esempio: un pendolare senigalliese, affezionato lettore del Corriere Adriatico per avere il suo giornale pagava un euro. Ma pochi chilometri più in là (ad esempio a Marotta, provincia di Pesaro), comprando lo stesso giornale avrebbe avuto, a prezzo invariato, anche il Messaggero nazionale. Lo stesso editore, sempre nella piazza pesarese vendeva il Messaggero con la sua cronaca locale, a 50 centesimi. Stessa storia – per fare un altro esempio – anche per un pendolare di Loreto. Se comprava il Corriere nella sua città pagava un euro, ma se andava nell’edicola dall’altra parte della strada (territorio di Recanati) con la stessa moneta portava a casa il Corriere e il Messaggero nazionale. Nel Maceratese il Messaggero con la sua cronaca locale era venduto a 70 centesimi, 20 in più rispetto a Pesaro, Ancona e Ascoli. Insomma, un guazzabuglio che ai più appariva senza senso.

Ora almeno la situazione è più chiara. Il Messaggero con la sua cronaca locale costa 80 centesimi in tutte le Marche, mentre il Corriere Adriatico, distribuito “a panino” assieme alla parte nazionale del Messaggero, costa ovunque un euro e 20 centesimi. Dopo quasi dieci anni l’editore indica una strada nuova che dovrebbe portare a sinergie per dare un prodotto migliore a costi più bassi. Ma è proprio questa parola (sinergia) che preoccupa le redazioni dei due giornali. Il Corriere Adriatico, con la sua storia pluricentenaria, è un patrimonio di questa regione. Grazie alle ampie pagine di cronaca e a una capillare informazione sportiva ha conquistato la fetta di pubblico più popolare. I suoi lettori difficilmente accetterebbero un cambio di identità che significa anche stile, modo di ragionare, di raccontare i fatti. Sarebbe come sradicare una pianta secolare per trapiantarla altrove. Il passaggio avrebbe certamente delle conseguenze. In questo settore, difficile, complesso e profondamente in crisi, quasi mai 2 + 2 ha come somma 4. In altre parole se i due giornali dovessero unirsi, una buona fetta di lettori potrebbe trasmigrare verso il concorrente storico di entrambi, cioè il Resto del Carlino.

L’editore, per ora, ha dato piena assicurazione alle redazioni e al Sindacato dei giornalisti: non cambia nulla nell’organizzazione e negli organici. Il Messaggero mantiene le sue redazioni e piena garanzia anche per il Corriere che, altro controsenso, conserva anche la sua parte di cronaca nazionale e internazionale. Il Messaggero però ha chiesto lo stato di crisi che porterà inevitabilmente a tagli e sacrifici. Ma – secondo fonti dell’editore – i due fatti (stato di crisi e “panino” nelle Marche) non hanno alcuna attinenza o connessione.

I giornalisti non nascondono le loro riserve e le loro preoccupazioni: “Corriere Adriatico e Il Messaggero – ha detto Franco Elisei, responsabile della redazione di Pesaro del giornale romano – hanno sviluppato un percorso parallelo, autonomo e indipendente. Fra i giornalisti c’è sempre stato rispetto, leali rapporti di colleganza, ma anche sana competizione. Un cronista che ha una notizia in esclusiva non la passa di certo all’altro giornale per il solo fatto di appartenere allo stesso Gruppo editoriale”.

La redazione del Corriere Adriatico, dopo la comunicazione del “panino” su scala regionale, si è riunita in assemblea e, tramite i suoi rappresentanti sindacali, ha chiesto e ottenuto un incontro con i vertici del gruppo che dovrebbe essere fissato a breve. Il quotidiano di Ancona ha appena chiuso uno stato di crisi che ha portato alla riduzione dell’organico di sei unità (tre prepensionamenti, due passaggi al Messaggero e una dimissione spontanea).

“Abbiamo avuto anche la prematura scomparsa del collega Luca Animobono – ci ha detto il Segretario regionale del Sindacato giornalisti, Roberto Mencarini – per cui abbiamo sette redattori in meno. Per il momento non dovremmo avere contraccolpi. La situazione è stabile, ma c’è sempre il timore dietro l’angolo che tra qualche anno si possa tornare attorno a un tavolo a discutere dei bilanci in rosso dopo le attuali scelte dell’editore”.

Di fatto la concorrenza tra i due quotidiani non si è attenuata, considerando anche i prezzi di vendita. Il lettore che vorrà acquistare il Corriere Adriatico dovrà sborsare 1,20 euro, portando a casa anche l’edizione nazionale del Messaggero. Ma la fedeltà dei lettori del quotidiano di Ancona dovrà misurarsi con la convenienza di acquistare il solo Messaggero con l’edizione locale della propria provincia a soli 80 centesimi. Si potrebbero anche comprare, con due euro, entrambi i giornali, con tanto di edizione locale del Messaggero, ma a questo punto si avrebbero due copie del nazionale di dubbia utilità. E in una situazione di crisi come quella che stiamo vivendo sono sempre meno coloro che acquistano stabilmente un quotidiano, figuriamoci due. Anche i 20 centesimi in più, per i lettori del Corriere Adriatico, potrebbero diventare un problema.

La sensazione di molti è che le scelte attuali dell’editore Caltagirone siano solo una fase di passaggio per una sinergia molto più spinta che porterebbe inevitabilmente a chiusure di redazioni e ulteriore ridimensionamento di organici. Con una visione più lungimirante si potrebbe anche ipotizzare una strategia più aggressiva e quindi una espansione territoriale. Il Messaggero garantirebbe un buon fascicolo nazionale, il Corriere Adriatico, potenziato sul territorio, potrebbe specializzarsi nella cronaca locale allargando la sua area di influenza. Lo stesso testata non prende come riferimento le Marche, ma l’Adriatico.

Per ora l’unica preoccupazione dell’editore sembra quella di tagliare i costi. Con lo stato di crisi del Messaggero avrebbe previsto sei prepensionamenti nelle redazioni marchigiane che sono già all’osso. E sono proprio le scelte dell’Azienda, al di là delle astratte assicurazioni, a preoccupare i giornalisti e il Sindacato che li rappresenta.

“L’esperienza – ha detto ancora il Segratario del Sigim, Roberto Mencarini – ci impone di essere diffidenti. Con gli stati crisi il gruppo Caltagirone ha sempre agito solo sulla leva dei costi, tagliando i redattori dipendenti art.1 e quelli più anziani che hanno stipendi più alti. Se allo stato di crisi non seguirà anche un piano di riorganizzazione e sviluppo potremmo avere qualche brutta sorpresa sul destino di alcune redazioni”.

Comitati di redazioni e Sindacato hanno aperto un dialogo e un confronto con l’Azienda. Per ora non sono state prese iniziative sindacali: è un segnale di distensione e di collaborazione, ma con un distinguo critico e un impegno a non abbassare la guardia. C’è preoccupazione e disorientamento anche fra i collaboratori, cioè i tantissimi giornalisti pagati “a pezzo” (sarebbe più giusto dire sottopagati) che sono la vera ossatura dei giornali. Il restyling grafico fatto dal Messaggero nei mesi scorsi ha già portato a una riduzione degli spazi e quindi alle loro opportunità di lavoro. Le scelte attuali non sembrano orientate a invertire la tendenza e – è ormai arcinoto – quando si tratta di tirare la cinghia i primi a doverlo fare sono sempre i più deboli e i meno tutelati.

* Giovanni Ruggiero è un praticante della Scuola di giornalismo di Urbino e l’articolo sopra riportato è stato pubblicato sul Ducato on line.