Intervista a Mario Calabresi
20 apr 2017Ospite all'inaugurazione del nuovo biennio dell’Ifg di Urbino, Calabresi ha visitato la sede della redazione da quest’anno nel cuore della città in Piazza della Repubblica, trovando anche un momento per controllare la bozza del numero de Il Ducato. Ai giovani praticanti della scuola ha dato dei consigli su come sfruttare al meglio questa esperienza, affrontando anche il delicato tema del rapporto tra giornalismo e social network.
Un ragazzo che vuole diventare giornalista cosa deve fare dopo la maturità? È ancora un mestiere affascinante?
Sì, altrimenti avrei cambiato lavoro. Un ragazzo che vuole diventare giornalista prima di tutto deve andare all’Università e studiare qualcosa che non sia giornalismo. Bisogna studiare qualunque cosa, non come ho fatto io e molti altri giornalisti che si sono specializzati in materie letterarie. Se io dovessi parlare a chi vuole intraprendere questa strada gli consiglierei di studiare matematica, fisica, medicina, ingegneria, perché oggi c’è bisogno di saper spiegare cose complesse in modo semplice. Il giornalismo è un punto di arrivo, la scuola di giornalismo è una scuola di specializzazione. È un modo pulito e trasparente di entrare nella professione, senza favoritismi.
Lei che ha seguito questo percorso, può dare un consiglio?
È fondamentale sfruttare al meglio lo stage, perché ti permette di entrare in una grande redazione. È quello il momento in cui bisogna mostrare di avere valore e di essere capaci! Se si lascia una buona impressione, ci si rende conto che quella persona può essere indispensabile e sicuramente alla prima occasione i colleghi si ricorderanno di lui. Per esempio, tutte le persone che nella mia vita di direttore ho assunto venivano dalle scuole di giornalismo.
Diventare un freelance, quindi, non è una via obbligata per chi esce dalle scuole?
No, perché il lavoro esiste, ma bisogna essere bravi e competenti più di quanto era richiesto in passato. Oggi, è vero, ci sono molti meno posti, ma ci sono anche molte più persone che vogliono lavorare nell’informazione.
Quanto è cambiato il giornalismo con la nascita dei social?
È cambiata una cosa: il dibattito immenso che in un certo senso fa anche bene al giornalismo. Prima alle imprecisioni e alle sciatterie non veniva dato troppo peso. Oggi invece ogni cosa è messa in discussione in tempo reale. Una cosa che però mi preoccupa dei social è il livello bassissimo del dibattito, un dibattito pieno di insulti e approssimazione nel quale anche cose non vere si propagano a una velocità incredibile. La funzione del giornalismo in questo senso è di impegnarsi a cercare di tenere gli standard qualitativi del dibattito alto.
La rete è diventata ormai una delle principali fonti di informazione: quale sarà il destino della carta stampata?
Intanto è sbagliato pensare ai giornali solo nella loro accezione cartacea. Io penso al giornale che dirigo: Repubblica ha un’edizione cartacea e una online, con un sito che è il più forte d’Italia. Lo scorso anno siamo arrivati sei volte a fare nove milioni di lettori in un giorno. È un mass media italiano, è un mass media digitale. Il punto è che oggi il giornalismo non si identifica più con un solo supporto o un solo formato ma è l’insieme di più supporti e più formati. Penso che la carta avrà un futuro per una nicchia informata che cerca approfondimento e contesti, poi c’è il flusso di notizie dato dall’online. Secondo me i siti dei grandi giornali continueranno a essere l’informazione di domani.