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Equo compenso, etica e legge istitutiva: “Serve una riforma radicale“

04 gen 2023

Equo compenso, etica e legge istitutiva: “Serve una riforma radicale“

Il prossimo 3 febbraio la legge che ha istituito l’Ordine dei giornalisti compie 60 anni. E li dimostra tutti. Non è più aderente alla realtà dell’informazione che è profondamente diversa da quella esistente nel 1963 ed è mutata con una velocità impressionante. Tanto è vero che oggi si parla sempre più di “giornalismi” e non di solo “giornalismo”. Sono cambiate le gerarchie comunicative, da verticali a orizzontali. Il cittadino, l’utente stesso, è diventato la prima fonte di notizia usando i social e la Rete. Che hanno in sé una potenzialità incredibile ma si trascinano dietro anche tante criticità e rischi, tra cui le “notizie senza volto” come le chiamava Umberto Eco. Senza attendibilità. O le fake news, la disinformazione e la misinformazione fino alle post verità ancor più insidiose.

Stiamo vivendo una dimensione accelerata ma la velocità imposta dai nuovi media non ci deve far dimenticare il tempo necessario alla riflessione e alla verifica. Occorrono nuove regole.

 Serve una riforma radicale. Ma una proposta di riforma è ferma nei cassetti del governo e del parlamento da anni. Adeguarsi ai tempi è facile a parole, difficile e… a volte gattopardesco nei fatti.

 Ho accolto con speranza le parole della presidente del Consiglio dei ministri nella analoga conferenza a Roma con i giornalisti. La premier Giorgia Meloni si è dichiarata disponibile ad un confronto tra le parti per esaminare i problemi della nostra professione, tra cui la tanto attesa riforma, materie mai affrontate adeguatamente finora e che mirano anche ad un riconoscimento economico adeguato alla responsabilità cui siamo chiamati. Sono fiducioso di questo approccio del governo e della premier, anch’essa giornalista. Abbiamo anche un ministro che proviene dalla direzione del tg2. E spero si inverta finalmente la tendenza che ha visto tantissimi giornalisti sedere in parlamento e dimenticarsi subito dopo di essere giornalisti.

 Esiste una grossa tentazione, in molti settori, di eliminare la mediazione del giornalista. Significa non riconoscere la nostra professione, significa impedire un eventuale approfondimento o approccio interlocutorio. Ecco: pensate al dramma della pandemia da Covid senza informazione… lascio alla vostra immaginazione….

Anche la politica non deve commettere l’errore di poter pensare di fare a meno dei giornalisti. Capiamo la necessità di una comunicazione rapida e diretta via social, ma mai smettere di confrontarsi con le redazioni, con chi cerca di capire e spiegare per informare al meglio.

 E' aumentata la responsabilità da parte dell'informazione e la responsabilità ce la prendiamo tutta, a patto che sia riconosciuta con il rispetto che merita questa professione.

Il nostro dovere é raccontare la realtà ma anche anticiparla se necessario. Se necessario, ripeto, anche con approccio critico. Approccio affermato anche dalla Cassazione nel 1997 quando parla di “notizie raccolte ed elaborate con obiettività anche se non disgiunta da valutazione critica”.

 E mai come ora l’etica dell’informazione può fare la differenza in questo universo di giornalismi, dove l’informazione rischia di mescolarsi con la comunicazione. E dove gli interessi in campo sono molteplici e spesso contrapposti.

E dove non è stato messo un freno giuridico alle cosiddette “querele temerarie” messe in atto solo per impaurire e imbavagliare l’informazione. Soprattutto quella legata ai piccoli editori, fragili preda di simili intimidazioni. Spesso siamo considerati “testimoni scomodi” (i dati li ha forniti il presidente nazionale Bartoli: 22 giornalisti attualmente sottoscorta, 30 uccisi).

 Per garantire credibilità occorrono responsabilità e correttezza e insieme costruiscono quell’autorevolezza che deve essere fondata su professionalità e qualità. Ma è sempre più necessaria anche una riflessione sul famoso equo compenso, che in campo giornalistico ha subito frenate e retromarce. Un servizio retribuito con pochi euri significa non riconoscere la professionalità, come invece avviene nei confronti dei professionisti di altri ordini. Diventa un’utopia pensare alla qualità costruita su pochi spiccioli. E sul precariato.

 Non possiamo nascondere difficoltà per le piccole testate marchigiane: difficoltà di costi, difficoltà legate alle frequenze televisive, difficoltà nella raccolta pubblicitaria sempre più in diminuzione e all’insufficiente aiuto pubblico.

Allora, No ai continui fondi versati a quegli editori che tagliano solo, Si invece al sostegno economico nei confronti di coloro che investono in tecnologie e risorse umane e professionali.

 Ho sempre pensato a un Ordine partecipato e partecipativo, aperto al confronto e alla collaborazione con altri Ordini professionali e con le università e con le istituzioni, nel rispetto dei ruoli e delle autonomie. Non a caso il Consiglio dell’Ordine delle Marche ha stretto un “Patto della salute” con l’Azienda ospedali riuniti di Torrette per una corretta in formazione e un protocollo d’intesa con le altre professioni ordinistiche della nostra regione per la promozione delle pari opportunità contro le discriminazioni.

 Penso a un Ordine che sia propositivo e in tal senso intende presentare proprio alla Regione un progetto per potenziare la comunicazione pubblica, soprattutto nei piccoli Comuni dell’entroterra che accusano un annoso isolamento, nella speranza che possa entrare nei capitoli di spesa del Pnrr o di altre risorse europee.

 Penso – e con me tutto il consiglio - a un Ordine rispettoso delle regole e al fianco dei giornalisti per ritrovare quell’autorevolezza e credibilità che la categoria merita. Un Ordine a fianco dei lettori/ascoltatori/ utenti multimediali che devono pretendere una informazione corretta dal punto di vista deontologico. A loro il diritto di essere informati. A noi il dovere e la responsabilità di farlo.